Nelle Metamorfosi di Ovidio, Eco è una Bella ninfa dei boschi, amata per la sua voce melodiosa e la sua capacità di intrattenere con le sue belle storie e con i suoi racconti soprattutto le dame del tempo. I suoi pettegolezzi erano così avvincenti che fu incaricata da Zeus di allietare e quindi distrarre la moglie Era, così che lui potesse concedersi il tempo per i suoi suoi tradimenti. Quando Era scoprì l’inganno, infuriata, punì Eco per averla distratta e la privò della capacità di parlare, Eco da quel giorno avrebbe potuto ripetere solo le ultime parole pronunciate da altri. Questa terribile punizione la condannò al silenzio e quindi all’impossibilità non solo di raccontare ancora le sue storie ma anche di esprimere i propri sentimenti, i propri bisogni e quindi se stessa.
Un giorno mentre girovagava nel bosco, Eco vide un giovane di straordinaria bellezza che cacciava. Se ne innamorò follemente e lo seguì silenziosamente. Il giovane in preda alle sue ricerche si perse fra i vari sentieri e iniziò a chiamare a gran voce: “C’è nessuno? C’é nessuno?. Eco, nascosta tra gli alberi un pò intimidita rispose ripetendo le sue ultime parole: “Nessunoo, nessunoo!”. Il giovane domandava e la Ninfa ripeteva. Incuriosito, il giovane continuò a parlare, ed Eco a ripetere, incapace di rivelarsi e di rivelare i propri sentimenti a causa della maledizione di Era. Il ragazzo, superbo e consapevole della propria bellezza, respingeva da sempre ogni avance amorosa, sia di ninfe che di fanciulle e provò addirittura ribrezzo dall’aspetto di Eco oltre che esserne irritato per la sua incapacità di parlare. Così la respinse brutalmente.
Eco invece, sedotta dal sua amore stesso, seguì il giovanotto ovunque andasse, accontentandosi di guardarlo da lontano. Giorno dopo giorno però il dolore per l’amore non corrisposto la consumarono: a poco a poco il suo sangue prese ad affievolirsi nelle vene, il viso le divenne bianco come neve. In breve tempo il corpo della splendida fanciulla divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta e divorata dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna, dove il giovane era solito andare a cacciare. Della ninfa rimasero solo le ossa e la voce. Le ossa presero la forma stessa della cava roccia ove il suo corpo era rannicchiato e la voce visse eterna nella montagna solitaria. Da allora risponde accorata ai viandanti che chiamano. Ma è così fioca e lontana che ripete poco meno della sillaba della loro ultima parola.
INTERPRETAZIONE PSICOLOGICA DEL MITO
La dipendenza affettiva è un’esperienza psicologica tanto diffusa quanto complessa, in cui la persona prova un profondo, quasi vitale, bisogno di riconoscimento che si può trasformare in una vera e propria dipendenza, paragonabile a quella da sostanza.
Eco nel mito, rappresenta l’alterità assoluta, l’essenza del “Io esisto solo attraverso gli occhi dell’altro”. La sua caratteristica psicologica fondamentale è fin dall’inizio l’assenza di un’identità propria, che la porta a esistere solo attraverso la voce e il riconoscimento degli altri. Come la ninfa del mito, anche la persona affetta da “Sindrome di Eco” fatica a esprimere i propri bisogni, a definire i propri confini e a pronunciare un “io” che sia veramente suo.
Eco è altamente e sconsiderevolmente compiacente, annulla se stessa pur di ricevere un minimo di approvazione o riconoscimento. Nel mito questo viene rappresentato dal fatto che col tempo lei rimane solo voce, voce degli altri, senza più nemmeno un corpo. Ma nonostante questa grande, inopportuna e non richiesta rinuncia, lei non viene vista anzi, ancor più dolorosamente rifiutata e scartata. Come le venisse rimandato il valore che lei stessa si attribuisce. “io e i miei desideri non valiamo molto, quindi li taccio, vale più il tuo amore”. È così Eco diventa vacua, inconsistente, spettrale. Modellandosi alle circostanze e alle persone pur di evitare ciò che più teme: essere rifiutata e respinta. Ma proprio questo suo modo di agire, le procurano l’epilogo indesiderato.
Come ogni sindrome, essa è definita da un insieme di segni e sintomi psicologici, emotivi e talvolta fisici. Ne riporto qualcuno:
- Non sapersi valorizzare: si manifesta nell’accettare situazioni a volte anche al limite del sano, pur di essere visti e amati, e provare quella sensazione di essere parte di qualcosa o di qualcuno. È come se gli occhi ricercassero continuamente qualche conferma che però non arriva mai. Anzi, il senso di disagio aumenta sempre di più, ma lo si attribuisce a caratteristiche non buone e accettabili di se stesse
- Ansia del Distacco: Si manifesta con un controllo ossessivo della presenza dell’altro. La mente è costantemente occupata da domande come: “Non mi ha chiamato, chissà cosa è successo?”. Questo porta a un monitoraggio compulsivo delle chiamate, dei messaggi
- Gelosia Immotivata.La paura dell’abbandono e la scarsa autostima scatena gelosie ingiustificate ma altamente dolorose. A questi impulsi seguono quasi sempre dei profondi sensi di colpa, che spingono la persona a “voler riparare” alla presunta offesa con un’ulteriore e più intensa iper-compiacenza, rinforzando il ciclo della dipendenza.
- Eccessiva compiacenza. essere sempre disponibili, accondiscendenti e pronti a soddisfare ogni bisogno dell’altro non è solo un atto di amore, ma anche una potente forma di controllo sulla relazione.
- Pensiero Ossessivo: Il focus esistenziale della persona dipendente si sposta interamente sull’altro. Spesso, durante una seduta terapeutica, la persona parla esclusivamente del partner, delle sue azioni, delle sue parole. I propri spazi, interessi e bisogni svaniscono, lasciando il posto a un’identità che esiste solo in funzione dell’altro.
- A questi sintomi si aggiungono talvolta manifestazioni fisiche, come un “dolore al petto” lancinante, descritto come un’esplosione interna. Questa sensazione non è altro che la controparte fisica di un profondo “vuoto interno”, una ferita emotiva che la relazione cerca disperatamente, e inutilmente, di colmare.
Il percorso di guarigione dalla dipendenza affettiva non consiste nel trovare il partner “giusto” che finalmente “salverà”, ma nel coltivare dimensioni intrapsichiche fondamentali. Ricostruire con grande, grandissima pazienza il proprio centro psichico dotato di intuito e da li avviare tempo dopo tempo una grandissimo processo di cura ai vuoti ciclici e alle loro dinamiche. Saper ripristinare i propri interessi, le proprie passioni e ritrovare il piacere di relazioni alla pari non temendo di mostrare i propri bisogni ed esigenze.
Veronica Loperfido